Trattate le persone come se fossero ciò che dovrebbero essere e aiutatele a diventare ciò che sono capaci di essere 

J. W. Goethe
MODELLO DI INTERVENTO

Il modello psicoanalitico relazionale, formalizzato per la prima volta da Stephen A. Mitchell (1988), si presenta come un modello aperto e integrato in cui confluiscono diverse tradizioni. Questo modello sposta l'attenzione dall'individuo ai processi che coinvolgono le persone e alle loro interazioni, partendo dal presupposto che queste siano la base su cui si costituisce la personalità.
La psicoanalisi relazionale sostiene che la personalità emerge progressivamente dalla matrice dei primi rapporti relazionali costituiti con i genitori o con altre figure significative. "Ciò che è accaduto" ha un ruolo importante sia nella formazione della personalità che nella sofferenza psicologica: l’individuo tende a ricreare le interazioni passate (interiorizzate) in relazioni successive, presenti. Tale riproposizione di scenari relazionali serve a soddisfare i bisogni dell'individuo in maniera conforme a ciò che ha appreso e sperimentato nel passato, ed è chiamata "re-enactment" o "ripetizione".
Ciò non significa che la personalità sia esclusivamente determinata dall'ambiente e dalle relazioni primarie. L’essere umano infatti interpreta tali esperienze relazionali in modo personale, in modo soggettivo. Le modalità in cui il soggetto ha letto queste esperienze, "l'uso che ne ha fatto", se rigide o distorte, possono creare sofferenze e sintomi. Questo importante aspetto indica come il modo in cui abbiamo vissuto determinate esperienze passate, il modo in cui le abbiamo interpretate, può essere compreso a fondo, “riletto” e quindi modificato.
In un certo senso possiamo quindi dire che, modificando il significato che abbiamo dato a determinate esperienze passate, a se stessi e agli altri, "modifichiamo il passato".


Il mio lavoro consiste nel costruire insieme al paziente un percorso di conoscenza di sé all'interno del quale è possibile esplorare il proprio funzionamento cognitivo ed emotivo e riuscire a dare un senso alla propria storia e al proprio malessere.
Questa accresciuta consapevolezza consente di mettere in luce e modificare quegli automatismi e schemi disfunzionali che generano sofferenza. All'interno di questo processo di autocoscienza, il disagio viene osservato e ricostruito nei suoi significati e messo in relazione alla storia di vita del paziente e al suo peculiare modo di percepire se stesso e gli altri.
La relazione terapeutica è lo spazio privilegiato in cui questo processo può avere luogo, uno spazio condiviso caratterizzato da stabilità e fiducia, dove terapeuta e paziente cooperano nel perseguire gli obiettivi prefissati.
In questo percorso di esplorazione è il paziente a svolgere un ruolo attivo. È lui l'esperto circa il suo modo di sentire, circa i propri pensieri e le proprie emozioni, poiché è l'unico ad averne contatto diretto.
Il terapeuta è l'esperto riguardo al metodo e agli strumenti tramite i quali diventa possibile per il paziente comprendere in maniera più approfondita il proprio modo di funzionare e trovare modalità più flessibili ed articolate di interazione con se stesso e con gli altri.


Lo scopo del lavoro terapeutico è riassumibile in tre punti:


1- Aumentare la consapevolezza dell'individuo circa le sue esperienze passate e comprendere come la persona ha ‘letto’ e interpretato queste esperienze, se stesso e l'altro.
2- Capire come queste interpretazioni, a livello inconscio, influenzano il presente, le relazioni e il modo in cui creano sintomi e disagio.
3- Aiutare il paziente a "rileggere" le esperienze passate, se stesso e l'altro. Ciò infine consente di trovare pattern relazionali più "sani" e funzionali in modo da ridurre il disagio psicologico e promuovere il benessere personale.




 Se vedi un affamato non dargli del riso: insegnagli a coltivarlo 

Confucio