"Non fu immediato questo marasma di emozioni e pensieri ma lentamente cominciavano a farsi sentire sempre più spesso e con un’intensità via via sempre maggiore. Come se avessi seppellito qualcuno vivo e cominciasse a scalciare e a gridare da dentro la bara. Il caos che stavo vivendo, però, non era soltanto dentro la mia testa: il mio sintomo mi causava sempre maggiore sofferenza. Fino a che arrivò il momento della crisi.

Da qui l’incontro con la psicoterapia. Nella mia testa era “l’ultima spiaggia”. È stato quel momento in cui umilmente mi sono detto: “Non posso farcela da solo”. Spesso si dà un’accezione negativa alla parola "crisi". Crisi economica, crisi lavorativa, crisi amorosa, crisi di mezza età. Tutto fa pensare ad un peggioramento di una determinata situazione. Per me invece crisi significa “opportunità”. La crisi è forse uno dei pochi momenti della vita in cui veramente puoi mostrare chi sei, quel momento in cui puoi farti spaventare e crollare nella voragine sotto di te oppure prendere coraggio e fare un balzo in avanti senza sapere cosa accadrà. “La fortuna aiuta gli audaci”, dicevano, forse non avevano tutti i torti.

Prima di allora avevo già notato in me dei problemi ricorrenti ma mi davo sempre giustificazioni per evitare di scavare più a fondo. “Ma non è niente”, “Sei solo stanco”, “Vedrai che passerà”, mi dicevo. Invece no, certe cose non passano, così, di punto in bianco, certe cose dobbiamo affrontarle.

Il primo incontro con lo psicoterapeuta andò bene, era molto calmo e attento, ed io mi sentii ascoltato, supportato e (cosa più importante) non giudicato. Non avevo risolto nulla in quel primo colloquio ma ebbi un’ottima sensazione e la seguii. Ricordo di essere uscito confuso dalla stanza, quasi come se stesse arrivando un capogiro, ma in senso positivo. Confuso sì, ma contento. “Forse è la strada giusta”, pensai.






Da quel momento sono passati due anni. Due anni intensi, disperati e meravigliosi allo stesso tempo. Il primo grande beneficio è stato la scomparsa del sintomo che avevo. La psicoterapia fa ancora parte della mia vita e continua ad essere un luogo, un modo per sciogliere tutti quei nodi che mi porto dentro da molto tempo. Mi sembra di essere un archeologo che un giorno si ferma su un terreno a lui da sempre familiare e si chiede: “Chissà cosa c’è qua sotto?”, e inizia a scavare. Più va in profondità e più trova pezzi della propria storia, a volte integri, a volte frammentati e da quelli cerca di ricostruire gli eventi passati per capire che valore abbiano avuto.

Che cos’è la psicoterapia per me? Credo che la risposta sia: strada. Sì, una strada, un percorso, un processo che ti permette di raggiungere la consapevolezza di chi sei. Non è soltanto un sentirmi ascoltato e supportato, è molto di più. È apprendere degli strumenti e delle risorse che mi permettono di conoscermi meglio, di sapermi ascoltare e di conseguenza di vivermi meglio tutto quello che mi succede, nel bene e nel male. Una cosa che ho imparato in psicoterapia è stata l’accettazione. Accettare quello che si è, quello che si è passato e sentito. Non in modo neutro e freddo, ma in modo amorevole.

In questo percorso, a volte, è difficile parlare di alcuni temi ed altri hanno bisogno di tempo per essere espressi apertamente. Nonostante questo, se si vuole veramente affrontare ciò che tormenta le notti, serve sincerità e apertura. Nel comunicare le nostre paure e preoccupazioni c’è un senso di liberazione non indifferente: si condivide con l’altro ciò che abbiamo nel profondo e, nell’atto stesso di esternare tutto questo, esorcizziamo i nostri mostri. Capita anche di avere dubbi su sé stessi: “Sto veramente migliorando?”, “Dovrei parlare di questa cosa?”. Dubbi e perplessità a volte permangono anche davanti all’evidenza di un buon incontro e altre volte riguardano anche il terapeuta: “Mi posso fidare?”, “Mi starà ascoltando?”, “Chissà cosa pensa di ciò che dico?”. Credo siano timori normali, non è sempre facile aprirsi con qualcuno in modo totalmente spontaneo e senza qualche remora, è una difesa che erigiamo per proteggerci da eventuali ferite.

Ci sono anche periodi in cui non si hanno molte energie e non si ha voglia di parlare o di affrontare un tema specifico. Va bene così, è più che legittimo. Nel percorso di conoscenza di sé ci sono periodi di “calma piatta”. Periodi che ricordano un po’ le estati passate al mare: dolci, calde e senza pensieri. Godersi il lavoro svolto e gli obiettivi raggiunti è davvero gratificante. Dopo tante energie spese nella comprensione delle proprie dinamiche è necessario fermarsi, chiudere gli occhi e fare un bel respiro. Sono convinto che questa sia una fase di passaggio, quel momento che serve per mettere più ordine e fare il punto della situazione per poi ripartire."

L.F. (Testimonianza di un paziente)


 Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante. 

Friedrich Nietzsche